Il FMI al Kenya: Che mangino piombo!

La richiesta del Fondo Monetario Internazionale che il Kenya attui una politica di saccheggio interno per ripagare il debito estero ha scatenato un massiccio movimento nazionale contro lo stesso FMI e contro il governo, guidato principalmente dai giovani che si definiscono Generazione X. Le proteste sono iniziate dopo che, il 9 maggio, il governo del Presidente William Ruto ha introdotto la finanziaria 2024, che prevedeva forti aumenti delle imposte sul reddito, dell’iva su prodotti alimentari e altri beni di prima necessità. In risposta alle manifestazioni che hanno invaso il Paese, il Presidente Ruto ha schierato forze di polizia e militari pesantemente armate, provocando fino a 30 morti e centinaia di feriti. Lungi dal fermare i manifestanti, la repressione ha portato a chiedere la rimozione del Presidente. La rivolta popolare, che ha messo a soqquadro il Parlamento e ha visto almeno tredici morti, ha costretto Ruto ad annunciare che non avrebbe firmato la finanziaria.

Nel discorso alla nazione, Ruto ha ammesso che il governo sta lottando per ridurre l’onere del debito, che, secondo lui, consuma 61 scellini su 100 di entrate fiscali. In seguito, ha annunciato di aver dato istruzioni per tagliare le spese di 2,7 miliardi di dollari per coprire la perdita di introiti, obbedendo così agli ordini del FMI.

Questo sviluppo viene osservato nervosamente da Londra, come testimoniano articoli del Financial Times e della Reuters. Il FMI ha inviato “condoglianze” senza lacrime, dicendosi “profondamente preoccupato” per la perdita di vite umane, ma per il resto sta “monitorando attentamente la situazione in Kenya”. Il timore, come riportato direttamente dal FT, è che lo “spirito” di protesta si diffonda, in particolare in Nigeria, ma anche in Argentina e in altri Paesi.

Il Kenya è solo uno dei numerosi Paesi africani chiave, tra cui Nigeria, Ghana, Zambia ed Egitto, che sono stati “attenzionati” dal FMI. Il debito estero del Kenya alla fine di marzo 2024 era di 39,2 miliardi di dollari, in calo rispetto ai 45 miliardi dello scorso anno. La maggior parte del debito proviene da istituzioni multilaterali e da prestiti bilaterali. Il debito con la Cina, per lo più bilaterale e legato a progetti economici reali, è di soli 5,7 miliardi di dollari. Negli ultimi venti anni, il Kenya ha investito circa 82 miliardi di dollari nella costruzione di strade, ferrovie e fabbriche, principalmente ricorrendo al project-financing.

Il debito tossico è quello detenuto dagli obbligazionisti internazionali, che ammonta a 7,2 miliardi di dollari di obbligazioni del Kenya vendute sui mercati europei.  Secondo la Banca Africana di Sviluppo, il 44% del debito estero di tutta l’Africa è sotto forma di queste obbligazioni, che hanno tassi di interesse esorbitanti (alcuni superiori al 10%), il che significa che alcuni Paesi devono spendere fino al 65% del PIL per il servizio del debito estero.

Si tratta della forma peggiore di neocolonialismo. La soluzione al problema risiede in una moratoria del debito e in un nuovo sistema finanziario che si impegni ad estendere credito a basso interesse per lo sviluppo economico.