Astronauti statunitensi bloccati – vittime di un gioco di prestigio geopolitico

Si fa fatica a credere che il Boeing Starliner, che il 5 giugno ha portato due astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale per una permanenza di dieci giorni, li ha lasciati bloccati lì per oltre 60 giorni e rischia di lasciarceli per altri sei mesi prima di poter tornare con il prossimo volo del razzo SpaceX.

In realtà, tutta la fase di collaudo e primo lancio della navetta è stata costellata di incidenti che hanno ritardato l’uso commerciale della stessa. I problemi recenti si sono manifestati durante il viaggio verso la stazione, con alcune perdite di elio e il guasto di alcuni dei propulsori di controllo durante l’aggancio. Mentre la Boeing, che può solo cercare di risolvere i problemi a distanza dalla Terra, ha assicurato alla NASA che il volo di rientro sarebbe sicuro, l’ente spaziale non se la beve. La sicurezza degli astronauti è sempre la preoccupazione principale, ma per la Boeing, alle prese con le ristrettezze economiche, forse i costi aggiuntivi per riportare a casa lo Starliner senza gli astronauti sono più importanti della vita e del benessere di coloro che hanno mandato lassù.

Ci si chiederà che cosa sia andato storto alla Boeing, che un tempo era affidabile. Fondamentalmente, la risposta ha a che fare con la graduale distruzione delle capacità industriali complessive dell’America sotto il regime del “valore azionario”. La cosiddetta “commercializzazione dello spazio” ha portato a far prevalere il profitto sulla sicurezza degli astronauti e sull’efficacia del programma.

Il programma spaziale statunitense si è guadagnato la fama di affidabilità grazie all’impegno dell’intera nazione, rappresentato dal fatto che fu affidato alla gestione competente di un ente statale civile, la NASA. Questo ente opera secondo il principio che la sicurezza delle persone impegnate in un’impresa sempre pericolosa viene prima di tutto, indipendentemente dal costo finanziario o politico.

In questo caso, la vita degli astronauti non è probabilmente a rischio, anche se dovranno vivere in ambienti molto angusti per altri sei mesi, con eventuali effetti sulla loro salute e sul loro benessere.

Ciò che rende la situazione così irrazionale è che potrebbero essere riportati sulla Terra in pochi giorni, se la NASA chiamasse l’Ente spaziale russo (Roskosmos) e chiedesse l’invio di una navicella Soyuz per recuperarli e riportarli a casa, come ha recentemente proposto il capo dell’ente, Yuri Borisov.

Ovviamente, il proseguimento della guerra della NATO con la Russia ha reso i funzionari della NASA meno propensi a chiedere l’aiuto di Mosca, anche se ciò risolverebbe rapidamente il problema. Dopo tutto, la Soyuz è stata un punto fermo per il trasporto verso la stazione spaziale fin dall’inizio. Anche se alla NASA ci sono persone che sarebbero favorevoli a questa soluzione, in ultima analisi, la questione è nelle mani dell’amministrazione Biden e più direttamente in quelle di Kamala Harris, che, in qualità di vicepresidente, è anche a capo del Consiglio nazionale dello spazio.

Kamala farà questa scelta? È improbabile che abbia il coraggio di farlo o che corra il rischio di alienarsi le simpatie delle élite politiche statunitensi che l’hanno scelta come candidata democratica alla presidenza, chiedendo alla Russia di aiutarla in questa vicenda.